La riviera dei fiori
Coldirodi – San Romolo – Passo Ghimbegna –
Perinaldo – Apricale – Baiardo – Vallecrosia – Bordighera
100% asfalto – 62 km
Usciamo dall’autostrada a San Remo, scarico la bici
dall’auto a Coldirodi. Siamo ad inizio gennaio, ma non si direbbe: l’aria è
tiepida, c’è un bel sole, gli ingredienti adatti per una gita da queste
parti, mentre a casa fa freddo e c’è il ghiaccio.
Parto subito in salita, la strada è stretta, corre tra i
terrazzamenti e le serre, ma mi preoccupa un cartello che la segnala interrotta
per frana. E’ un po’ spostato di lato, vengo superata da alcune auto…
allora si può passare!
Qualche casolare isolato nella macchia mediterranea, pini
e profumo di resina; continuo a salire verso San Romolo, curva dopo curva. Fa
veramente caldo! Non è solo l’effetto della pendenza, la temperatura è
effettivamente alta. Da un po’ non incontro nessuno, mentre i cartelli
ribadiscono che a 5 – 4 – 3 – 2.5 km c’è una frana. Mah?
Ecco dei bikers che stanno scendendo: loro mi dicono che
la strada è mezza crollata, ma i nostri mezzi non hanno problemi di sorta per
aggirare l’ostacolo. Così posso continuare indisturbata, godendomi il
panorama sotto di me.
Evitato il bivio per Perinaldo (ci arriverò dopo,
facendo un giro più lungo), ancora 3 km circa e sono a San Romolo, dove però
tiro dritto verso il Monte Bignone. Ci stiamo addentrando nell’entroterra, nel
bosco fa più freddo, ma le sorprese arriveranno dopo… La pendenza aumenta, ma
non è niente in confronto a quella deviazione sulla sinistra che sale verso la
cima!! Con il mare ormai alle spalle, mi trovo nei pressi di alcuni casolari
isolati, circondati da distese brulle punteggiate da greggi di pecore, che ormai
hanno brucato tutto il possibile, creando questo paesaggio surreale.
Mettiamo la giacca a vento, che adesso si scende (e non
fa più caldo come prima). L’asfalto non è in ottime condizioni, ed a
giudicare dalle foglie sulla strada, in questo periodo qui non c’è un granchè
di traffico. Al fondo della discesa c’è una
brusca
curva a sinistra con risalita annessa, grazie alla quale arrivo al Passo
Ghimbegna (898 m), da cui posso godere della vista verso Baiardo,
nucleo di case abbarbicato sulla collina.
Per un po’ sarà tutta discesa, ma la strada è bella,
con ampie curve. I colori intorno a me sono quelli dell’inverno, ma le
sempreverdi contribuiscono a rendere meno tristi queste colline. 8 km dopo sono
ad Apricale, ed è arrivato il momento di ricominciare a salire.
Avevo letto un libro ambientato da queste parti: non
ricordo più né titolo, né
autore, ma parlava degli abitanti di questi villaggi di grande fascino, ma un
po’ dimenticati. La residenza ideale per un artista? Per qualche Inglese o
Tedesco con il mito dell’Italia?
Dirigendomi verso Perinaldo, imbocco una stretta
strada che costeggia un corso d’acqua: arrivata nei pressi
dell’impluvio, per terra è tutto coperto di ghiaccio e brina. Brrrrr!!
Rivoglio quella bella aria tiepida di stamattina!
Non so se sono i km che ho nelle gambe, oppure se la
pendenza è davvero tale da giustificare la mia scarsa velocità. Comunque c’è
una rampa tra gli ulivi che mi lascia senza fiato. Per fortuna non dovrei essere
lontana dalla conclusione dell’ultima salita della giornata.
Si taglia il fianco della collina, sempre circondati da
uliveti, ed infine si sbuca ad un colletto molto panoramico. Perinaldo è dietro
di noi, sulla sommità della collina, simile agli altri villaggi che abbiamo
incontrato fino ad ora. Qua e là iniziano a vedersi delle macchie gialle di
mimose in fiore, molto in anticipo rispetto alla stagione. Mangio qualcosa,
tanto ormai non mi resta che la discesa finale, per arrivare ad annusare
l’odore del mare.
Soldano, San Biagio, ed infine Vallecrosia: discesa a
pieni pedali, e poi il traffico dell’Aurelia mi sembra incredibile, paragonato
alla solitudine di tutto il resto del viaggio. Mi aspettano a Bordighera, 2 km e
sono arrivata…
Provato il 08/01/00.
Torna
all'inizio
Ulivi,
fiori e stregonerie a pochi passi dal mare
Arma di
Taggia – Taggia - Badalucco – Molini di Triora – Triora – Molini di
Triora – Colla di Langan (1127 m) – Pigna – Isolabona – Dolceacqua –
Ventimiglia – 80 km
Questo
percorso non è strutturato ad anello, ma lo si può chiudere con ulteriori 23
chilometri lungo la costa.
Raggiungo
la Riviera dal Piemonte attraverso il Colle di Tenda e la neve incontrata mi fa
temere per il mio itinerario: chissà se la strada sarà pulita ed aperta? Siamo
a metà febbraio, la primavera si fa ancora attendere.
Partiamo da
Taggia, risalendo la parte terminale della Valle Argentina e lasciandoci alle
spalle il traffico della Riviera, i fiori e l’aria del mare. La valle si fa più
stretta, il torrente Argentina adesso non ha molta acqua, ma mostra ancora i
segni delle piene degli anni scorsi.
I primi 10
– 12 chilometri non sono particolarmente interessanti e ci scaldiamo le gambe,
pedalando in scioltezza. Finalmente raggiungiamo Badalucco, un tipico paesino
dell’entroterra, con le alte case addossate le une alle altre e gli stretti
vicoli in cui aleggia il profumo del pane e delle focacce. La salita non è
impegnativa, così avanziamo velocemente verso Montalto Ligure, che sorge su di
un cucuzzolo alla nostra destra. Il bosco di sempreverdi è interrotto qua e là
dagli uliveti: questa è la terra dell’oliva taggiasca e di un ottimo olio,
così come ricordano i cartelli turistici della “Via dell’Olio”.
Dopo il
bivio per il Col d’Oggia, la pendenza aumenta leggermente: il traffico però
oggi è scarso, mi supera qualche turista tedesco, inglese e svizzero, che
ritroverò più avanti nel corso di questo itinerario.
Mi fa uno
strano effetto vedere questi versanti coperti di verde, gli uliveti e gli alberi
di eucaliptus che contrastano con il bianco delle cime all’orizzonte,
testimonianza delle abbondanti nevicate delle settimane passate. Sulla destra,
altri villaggi arroccati, circondati da terrazzamenti con cui l’uomo ha
cercato di strappare un po’ di terra per l’agricoltura. E’ un territorio
difficile, segnato dai sacrifici di chi tuttora lo vive, ma soprattutto degli
abitanti di un tempo, che poi lo hanno abbandonato per spostarsi sulla Riviera.
Mi piacciono queste case, costruite con la pietra del luogo, il cui colore si
inserisce perfettamente nel paesaggio, così diverse dai molti scempi edilizi
che ci siamo lasciati alle spalle.
Un tratto
di leggera discesa, poi si risale verso Molini di Triora, prima del quale la
strada si divide per salire a due colli: a destra il Passo di Teglia (1387m,
oggi ancora troppo innevato), a sinistra la Colla di Langan. Prima, però, ci
concediamo una
deviazione per visitare Triora, il “paese delle streghe”. A Molini (il
cui nome deriva dai numerosi mulini un tempo funzionanti nei pressi dei corsi
d’acqua) possiamo fare una sosta per acquistare il famoso pane, poi
percorriamo i cinque chilometri di salita per raggiungere Triora. Continuiamo a
seguire il torrente, tra gli alberi spogli e con l’aria fresca che arriva
dalle montagne sopra di noi; un ponte nei pressi di un antico mulino e si
affrontano le ultime curve, abbastanza impegnative, ma ampie e soleggiate.
Ecco sopra
di noi le mura e le torri di Triora, mentre sull’altro versante tra gli alberi
scorgiamo il pittoresco villaggio di Corte. Si gira dietro al versante,
costeggiando l’abitato abbarbicato sulle rocce; dalla strada salgono
strettissimi vicoli lastricati in pietra, tutti a gradini, che scompaiono tra le
case. Continuiamo sulla strada principale per entrate in Triora in sella. Ci
avventuriamo per i carugi del centro tra le bottegucce del borgo, che
vendono prodotti tipici e statuette di gnomi e folletti, fino a salire sul punto
più alto. Qui ammiriamo l’intero paese ed il panorama circostante,
approfittando della bella giornata di sole.
Notizie storiche
La storia di Triora viene fatta risalire
all’epoca romana, quando pare fosse abitato dalle popolazioni dei Liguri
Montani. Agli inizi del 1200 era un centro di notevole importanza e passò
sotto il dominio di Genova nella seconda metà del secolo. Ancora oggi il
paese conserva parte della sua morfologia di borgo medioevale, con i resti del
castello, del fortino e del Forte di San Dalmazzo.
La
fama di Triora è però principalmente legata ad oscure vicende avvenute alla
fine del 1500. Negli anni 1587 – 1589 alcune donne vennero accusate di
stregoneria e furono processate dall’Inquisizione. Erano anni di carestia,
il raccolto dell’estate 1587 era stato particolarmente scarso, gli animali
morivano, così la voce popolare attribuì questo fatto ai malefici delle
strie che si riunivano nella Cabotina (un casolare isolato, oggi diroccato).
Pare che alcune donne nella notte venissero scosse dalle convulsioni e
urlassero in modo simile all’abbaiare dei cani; così diventarono il capro
espiatorio della popolazione. Studi condotti in tempi recenti attribuiscono
queste manifestazioni all’intossicazione alimentare provocata da un fungo
contenuto nella farina di cereali, il Claviceps purpurea.
Intervenne
l’Inquisizione: con le torture si ottennero numerose confessioni dalle donne
che cercavano di mettere fine alle sofferenze. Le sospettate furono più di
200; sembra che una trentina di loro fu condannata al rogo, di sicuro altre
morirono nelle prigioni genovesi, qualcuna si suicidò. Il processo venne
celebrato a Genova nel settembre 1588, dopo che il Governatore della città
aveva indagato sui metodi degli inquisitori. Quelle che non erano morte sotto
tortura vennero finalmente assolte, ma Triora rimase il paese delle bàugie.
Oggi
queste vicende sono state ricostruite nel piccolo Museo Etnografico proprio
all’entrata del paese, dove si può respirare un po’ dell’inquietante
aria che circonda i lontani anni bui…
Una sosta
alla fontanella sotto un arco in pietra, poi ripartiamo facendo attenzione alle
strette curve a gomito ed ai gradini, poiché le pietre del lastricato sono
piuttosto scivolose. Passiamo nella minuscola Piazza del Mercato, nei pressi
dell’altrettanto minuscolo giardino, dove troneggia la statua della strega, e
quindi riprendiamo il nostro itinerario, dopo questa piacevole ed interessante
sosta turistica.
Scendiamo
nuovamente a Molini di Triora, lo attraversiamo e, subito dopo, svoltiamo a
destra, iniziando a salire passato il ponte. I segnali stradali indicano 12 km
al colle, e noi li percorriamo tra i castagni, alcuni dei quali vecchi e
contorti, tanto da farci ripensare per un attimo a quei racconti di streghe e di
sabba nei boschi…
La pendenza
però ci riporta subito a concentrarci sui pedali; io oggi guardo con
preoccupazione le chiazze bianche che iniziano a comparire ai lati della strada,
mentre i primi pini silvestri si sostituiscono ai castagni. Per un po’ sembra
di non aver abbandonato i soliti percorsi intorno a casa, e non di essere a
pochi chilometri dal mare. Curva dopo curva, tra gli alberi intravediamo Triora
ed il Monte Pietravecchia, tutto innevato.
Adesso ai
bordi della strada la neve forma un cordone continuo e, nei lati più in ombra,
dei freddi ghiaccioli sono una luccicante testimonianza dell’inverno ancora in
corso.
Un ultimo
falsopiano ed arriviamo alla Colla Langan, dove possiamo finalmente gustare le
specialità acquistate per la strada (pane alle erbe, torte salate, focacce),
tanto adesso c’è solo più discesa! Sulla destra la strada per la Colla
Melosa ed il Rifugio Allavena, davanti a noi la stretta discesa verso Pigna, che
ci apprestiamo ad imboccare.
Sul colle
c’è un vecchio ristorante, da tempo abbandonato, poco oltre alcuni alpeggi
intorno ai quali pascolano greggi di pecore (possibilità di acquistare burro e
formaggi), un agriturismo ed un’utile fontana, dove riempiamo le nostre
borracce.
L’aria
diventa velocemente più gradevole, anche la vegetazione torna ad essere quella
mediterranea, con sempreverdi ed un impenetrabile sottobosco. Per fortuna non
c’è traffico (a dire il vero a questa stagione rischiamo di non incontrare
nessuno per tutta la salita), così posso affrontare le strette curve sfruttando
tutta la sede stradale e facendo lo slalom tra le buche. Davanti a noi il Monte
Toraggio con i suoi stretti valloni rocciosi, dall’aspetto selvaggio.
Ecco Pigna
ed il suo bel campanile romanico, poi ancora leggera discesa verso
Isolabona,
dove si può deviare per Apricale. A Dolceacqua si consiglia una sosta per
ammirare l’antico ponte medioevale, lungo 33 metri ed il castello del XII
secolo arroccato su di una rupe a picco sulle case. Ormai l’aria è tiepida ed
incontro persino qualche ciclista in pantaloni corti, che arriva dal mare. Le
mimose sono fiorite, siamo soltanto più a quota 51m!
Se non
trovate il vento contrario, come nel mio caso, da adesso in poi pedalerete
agilmente sulle leggere discese e sui brevi tratti di risalita, quindi in
pianura, per concludere l’itinerario a Ventimiglia.
Provato
il 23/02/02
Torna
all'inizio
Vietato
l’uso di testi e immagini contenuti in questa pagina senza consenso
dell'Autore