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Itinerari

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A due passi dal mare

Quando da queste parti i boschi sono ancora spogli, il terreno è gelato al mattino e fangoso nelle ore più calde, può venir voglia di “assaggiare” un anticipo di primavera. Anche se l’allenamento in questo momento è scarso (per non dire nullo, soprattutto dopo un autunno – inverno di cattivo tempo come quello 2000 – 2001), il fatto di pedalare al sole, con l’aria tiepida e gli alberi in fiore contribuisce a galvanizzare chi, come me, è stufo del solito giro breve, imbacuccato con soprascarpe, guanti, giacche a strati…

Gli itinerari si svolgono nell’entroterra di San Remo – Bordighera. Siamo a pochi km in linea d’aria da luoghi mondani di fama internazionale, eppure sembra di trovarci in un’altra dimensione, sia dal punto di vista spaziale che temporale.

Chi volesse ripercorrere questi miei itinerari deve tener conto del fatto che non sono degli anelli. Per l’occasione ho goduto dell’appoggio di… un’ammiraglia!  

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Bordighera e dintorni  

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Triora

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 La riviera dei fiori

Coldirodi – San Romolo – Passo Ghimbegna – Perinaldo – Apricale – Baiardo – Vallecrosia – Bordighera

100% asfalto – 62 km  

Usciamo dall’autostrada a San Remo, scarico la bici dall’auto a Coldirodi. Siamo ad inizio gennaio, ma non si direbbe: l’aria è tiepida, c’è un bel sole, gli ingredienti adatti per una gita da queste parti, mentre a casa fa freddo e c’è il ghiaccio.

Parto subito in salita, la strada è stretta, corre tra i terrazzamenti e le serre, ma mi preoccupa un cartello che la segnala interrotta per frana. E’ un po’ spostato di lato, vengo superata da alcune auto… allora si può passare!

Qualche casolare isolato nella macchia mediterranea, pini e profumo di resina; continuo a salire verso San Romolo, curva dopo curva. Fa veramente caldo! Non è solo l’effetto della pendenza, la temperatura è effettivamente alta. Da un po’ non incontro nessuno, mentre i cartelli ribadiscono che a 5 – 4 – 3 – 2.5 km c’è una frana. Mah?

Ecco dei bikers che stanno scendendo: loro mi dicono che la strada è mezza crollata, ma i nostri mezzi non hanno problemi di sorta per aggirare l’ostacolo. Così posso continuare indisturbata, godendomi il panorama sotto di me.

Evitato il bivio per Perinaldo (ci arriverò dopo, facendo un giro più lungo), ancora 3 km circa e sono a San Romolo, dove però tiro dritto verso il Monte Bignone. Ci stiamo addentrando nell’entroterra, nel bosco fa più freddo, ma le sorprese arriveranno dopo… La pendenza aumenta, ma non è niente in confronto a quella deviazione sulla sinistra che sale verso la cima!! Con il mare ormai alle spalle, mi trovo nei pressi di alcuni casolari isolati, circondati da distese brulle punteggiate da greggi di pecore, che ormai hanno brucato tutto il possibile, creando questo paesaggio surreale.

Mettiamo la giacca a vento, che adesso si scende (e non fa più caldo come prima). L’asfalto non è in ottime condizioni, ed a giudicare dalle foglie sulla strada, in questo periodo qui non c’è un granchè di traffico. Al fondo della discesa c’è una brusca curva a sinistra con risalita annessa, grazie alla quale arrivo al Passo Ghimbegna (898 m), da cui posso godere della vista verso Baiardo, nucleo di case abbarbicato sulla collina.

Per un po’ sarà tutta discesa, ma la strada è bella, con ampie curve. I colori intorno a me sono quelli dell’inverno, ma le sempreverdi contribuiscono a rendere meno tristi queste colline. 8 km dopo sono ad Apricale, ed è arrivato il momento di ricominciare a salire.

Avevo letto un libro ambientato da queste parti: non ricordo più  né titolo, né autore, ma parlava degli abitanti di questi villaggi di grande fascino, ma un po’ dimenticati. La residenza ideale per un artista? Per qualche Inglese o Tedesco con il mito dell’Italia?

Dirigendomi verso Perinaldo, imbocco una stretta strada che costeggia un corso d’acqua: arrivata nei pressi dell’impluvio, per terra è tutto coperto di ghiaccio e brina. Brrrrr!! Rivoglio quella bella aria tiepida di stamattina!

Non so se sono i km che ho nelle gambe, oppure se la pendenza è davvero tale da giustificare la mia scarsa velocità. Comunque c’è una rampa tra gli ulivi che mi lascia senza fiato. Per fortuna non dovrei essere lontana dalla conclusione dell’ultima salita della giornata.

Si taglia il fianco della collina, sempre circondati da uliveti, ed infine si sbuca ad un colletto molto panoramico. Perinaldo è dietro di noi, sulla sommità della collina, simile agli altri villaggi che abbiamo incontrato fino ad ora. Qua e là iniziano a vedersi delle macchie gialle di mimose in fiore, molto in anticipo rispetto alla stagione. Mangio qualcosa, tanto ormai non mi resta che la discesa finale, per arrivare ad annusare l’odore del mare.

Soldano, San Biagio, ed infine Vallecrosia: discesa a pieni pedali, e poi il traffico dell’Aurelia mi sembra incredibile, paragonato alla solitudine di tutto il resto del viaggio. Mi aspettano a Bordighera, 2 km e sono arrivata…

Provato il 08/01/00.

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Ulivi, fiori e stregonerie a pochi passi dal mare

 

Arma di Taggia – Taggia - Badalucco – Molini di Triora – Triora – Molini di Triora – Colla di Langan (1127 m) – Pigna – Isolabona – Dolceacqua – Ventimiglia – 80 km

Questo percorso non è strutturato ad anello, ma lo si può chiudere con ulteriori 23 chilometri lungo la costa.

Raggiungo la Riviera dal Piemonte attraverso il Colle di Tenda e la neve incontrata mi fa temere per il mio itinerario: chissà se la strada sarà pulita ed aperta? Siamo a metà febbraio, la primavera si fa ancora attendere.

Partiamo da Taggia, risalendo la parte terminale della Valle Argentina e lasciandoci alle spalle il traffico della Riviera, i fiori e l’aria del mare. La valle si fa più stretta, il torrente Argentina adesso non ha molta acqua, ma mostra ancora i segni delle piene degli anni scorsi.

I primi 10 – 12 chilometri non sono particolarmente interessanti e ci scaldiamo le gambe, pedalando in scioltezza. Finalmente raggiungiamo Badalucco, un tipico paesino dell’entroterra, con le alte case addossate le une alle altre e gli stretti vicoli in cui aleggia il profumo del pane e delle focacce. La salita non è impegnativa, così avanziamo velocemente verso Montalto Ligure, che sorge su di un cucuzzolo alla nostra destra. Il bosco di sempreverdi è interrotto qua e là dagli uliveti: questa è la terra dell’oliva taggiasca e di un ottimo olio, così come ricordano i cartelli turistici della “Via dell’Olio”.

Dopo il bivio per il Col d’Oggia, la pendenza aumenta leggermente: il traffico però oggi è scarso, mi supera qualche turista tedesco, inglese e svizzero, che ritroverò più avanti nel corso di questo itinerario.

Mi fa uno strano effetto vedere questi versanti coperti di verde, gli uliveti e gli alberi di eucaliptus che contrastano con il bianco delle cime all’orizzonte, testimonianza delle abbondanti nevicate delle settimane passate. Sulla destra, altri villaggi arroccati, circondati da terrazzamenti con cui l’uomo ha cercato di strappare un po’ di terra per l’agricoltura. E’ un territorio difficile, segnato dai sacrifici di chi tuttora lo vive, ma soprattutto degli abitanti di un tempo, che poi lo hanno abbandonato per spostarsi sulla Riviera. Mi piacciono queste case, costruite con la pietra del luogo, il cui colore si inserisce perfettamente nel paesaggio, così diverse dai molti scempi edilizi che ci siamo lasciati alle spalle.

Un tratto di leggera discesa, poi si risale verso Molini di Triora, prima del quale la strada si divide per salire a due colli: a destra il Passo di Teglia (1387m, oggi ancora troppo innevato), a sinistra la Colla di Langan. Prima, però, ci concediamo una deviazione per visitare Triora, il “paese delle streghe”. A Molini (il cui nome deriva dai numerosi mulini un tempo funzionanti nei pressi dei corsi d’acqua) possiamo fare una sosta per acquistare il famoso pane, poi percorriamo i cinque chilometri di salita per raggiungere Triora. Continuiamo a seguire il torrente, tra gli alberi spogli e con l’aria fresca che arriva dalle montagne sopra di noi; un ponte nei pressi di un antico mulino e si affrontano le ultime curve, abbastanza impegnative, ma ampie e soleggiate.

Ecco sopra di noi le mura e le torri di Triora, mentre sull’altro versante tra gli alberi scorgiamo il pittoresco villaggio di Corte. Si gira dietro al versante, costeggiando l’abitato abbarbicato sulle rocce; dalla strada salgono strettissimi vicoli lastricati in pietra, tutti a gradini, che scompaiono tra le case. Continuiamo sulla strada principale per entrate in Triora in sella. Ci avventuriamo per i carugi del centro tra le bottegucce del borgo, che vendono prodotti tipici e statuette di gnomi e folletti, fino a salire sul punto più alto. Qui ammiriamo l’intero paese ed il panorama circostante, approfittando della bella giornata di sole.

Notizie storiche

  La storia di Triora viene fatta risalire all’epoca romana, quando pare fosse abitato dalle popolazioni dei Liguri Montani. Agli inizi del 1200 era un centro di notevole importanza e passò sotto il dominio di Genova nella seconda metà del secolo. Ancora oggi il paese conserva parte della sua morfologia di borgo medioevale, con i resti del castello, del fortino e del Forte di San Dalmazzo.

La fama di Triora è però principalmente legata ad oscure vicende avvenute alla fine del 1500. Negli anni 1587 – 1589 alcune donne vennero accusate di stregoneria e furono processate dall’Inquisizione. Erano anni di carestia, il raccolto dell’estate 1587 era stato particolarmente scarso, gli animali morivano, così la voce popolare attribuì questo fatto ai malefici delle strie che si riunivano nella Cabotina (un casolare isolato, oggi diroccato). Pare che alcune donne nella notte venissero scosse dalle convulsioni e urlassero in modo simile all’abbaiare dei cani; così diventarono il capro espiatorio della popolazione. Studi condotti in tempi recenti attribuiscono queste manifestazioni all’intossicazione alimentare provocata da un fungo contenuto nella farina di cereali, il Claviceps purpurea.

Intervenne l’Inquisizione: con le torture si ottennero numerose confessioni dalle donne che cercavano di mettere fine alle sofferenze. Le sospettate furono più di 200; sembra che una trentina di loro fu condannata al rogo, di sicuro altre morirono nelle prigioni genovesi, qualcuna si suicidò. Il processo venne celebrato a Genova nel settembre 1588, dopo che il Governatore della città aveva indagato sui metodi degli inquisitori. Quelle che non erano morte sotto tortura vennero finalmente assolte, ma Triora rimase il paese delle bàugie.

Oggi queste vicende sono state ricostruite nel piccolo Museo Etnografico proprio all’entrata del paese, dove si può respirare un po’ dell’inquietante aria che circonda i lontani anni bui…

Una sosta alla fontanella sotto un arco in pietra, poi ripartiamo facendo attenzione alle strette curve a gomito ed ai gradini, poiché le pietre del lastricato sono piuttosto scivolose. Passiamo nella minuscola Piazza del Mercato, nei pressi dell’altrettanto minuscolo giardino, dove troneggia la statua della strega, e quindi riprendiamo il nostro itinerario, dopo questa piacevole ed interessante sosta turistica.

Scendiamo nuovamente a Molini di Triora, lo attraversiamo e, subito dopo, svoltiamo a destra, iniziando a salire passato il ponte. I segnali stradali indicano 12 km al colle, e noi li percorriamo tra i castagni, alcuni dei quali vecchi e contorti, tanto da farci ripensare per un attimo a quei racconti di streghe e di sabba nei boschi…

La pendenza però ci riporta subito a concentrarci sui pedali; io oggi guardo con preoccupazione le chiazze bianche che iniziano a comparire ai lati della strada, mentre i primi pini silvestri si sostituiscono ai castagni. Per un po’ sembra di non aver abbandonato i soliti percorsi intorno a casa, e non di essere a pochi chilometri dal mare. Curva dopo curva, tra gli alberi intravediamo Triora ed il Monte Pietravecchia, tutto innevato.

Adesso ai bordi della strada la neve forma un cordone continuo e, nei lati più in ombra, dei freddi ghiaccioli sono una luccicante testimonianza dell’inverno ancora in corso.

Un ultimo falsopiano ed arriviamo alla Colla Langan, dove possiamo finalmente gustare le specialità acquistate per la strada (pane alle erbe, torte salate, focacce), tanto adesso c’è solo più discesa! Sulla destra la strada per la Colla Melosa ed il Rifugio Allavena, davanti a noi la stretta discesa verso Pigna, che ci apprestiamo ad imboccare.

Sul colle c’è un vecchio ristorante, da tempo abbandonato, poco oltre alcuni alpeggi intorno ai quali pascolano greggi di pecore (possibilità di acquistare burro e formaggi), un agriturismo ed un’utile fontana, dove riempiamo le nostre borracce.

L’aria diventa velocemente più gradevole, anche la vegetazione torna ad essere quella mediterranea, con sempreverdi ed un impenetrabile sottobosco. Per fortuna non c’è traffico (a dire il vero a questa stagione rischiamo di non incontrare nessuno per tutta la salita), così posso affrontare le strette curve sfruttando tutta la sede stradale e facendo lo slalom tra le buche. Davanti a noi il Monte Toraggio con i suoi stretti valloni rocciosi, dall’aspetto selvaggio.

Ecco Pigna ed il suo bel campanile romanico, poi ancora leggera discesa verso Isolabona, dove si può deviare per Apricale. A Dolceacqua si consiglia una sosta per ammirare l’antico ponte medioevale, lungo 33 metri ed il castello del XII secolo arroccato su di una rupe a picco sulle case. Ormai l’aria è tiepida ed incontro persino qualche ciclista in pantaloni corti, che arriva dal mare. Le mimose sono fiorite, siamo soltanto più a quota 51m!

Se non trovate il vento contrario, come nel mio caso, da adesso in poi pedalerete agilmente sulle leggere discese e sui brevi tratti di risalita, quindi in pianura, per concludere l’itinerario a Ventimiglia.

Provato il 23/02/02

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